Oronzio De Nora, dopo la laurea in Ingegneria, decide di iscriversi al corso di specializzazione in elettrochimica e insieme al professor Giacomo Carrara si occupa dell'elettrolisi dei cloruri alcalini. Oronzio De Nora ottiene il primo brevetto della sua carriera di ricercatore e di industriale. L’ipoclorito di sodio, un prodotto largamente usato nell'industria tessile per il candeggio dei tessuti, oltre che come fissativo nei processi di stampa fotografica, viene prodotto per mezzo di celle elettrolitiche di cloruro di sodio in cui sono montati elettrodi bipolari, disposti sia in posizione verticale sia orizzontale. Cercando di rendere più efficiente il processo di produzione, Oronzio De Nora osserva che una posizione inclinata degli elettrodi avrebbe garantito molti vantaggi. Il sistema produce infatti soda caustica, densa, nella parte inferiore catodica, e cloro, allo stato gassoso, nella parte superiore anodica. L'inclinazione degli elettrodi avrebbe permesso alla prima, più pesante, di scivolare verso il basso e di reagire con il secondo, più leggero, che spontaneamente sarebbe salito verso l'alto. Dall'incontro tra le due sostanze si sarebbe poi formato l'ipoclorito.
La scelta elettrochimica
Dopo aver ottenuto il brevetto tedesco, Oronzio De Nora inizia le necessarie verifiche di laboratorio. Costruisce una prima cella pilota con gli elettrodi inclinati e avvia un programma di sperimentazione. Un mattino, mentre si sforza di collegare un tubo di gomma ad un altro di vetro, si ferisce un dito e, non avendo alcun disinfettante a disposizione, decide di immergere il dito nella soluzione di acqua e sale che riempie la cella. Lascia la ferita in immersione per alcuni secondi, l'asciuga con cura, la tampona con un fazzoletto e riprende a lavorare. Dopo un paio d'ore si toglie il fazzoletto e con grande sorpresa nota che la ferita si è rimarginata. Oronzio De Nora riflette a lungo su quanto è accaduto e si convince che nella soluzione della cella debba esserci qualcosa che funziona come un prodigioso disinfettante e cicatrizzante. Siamo nel 1923. I sistemi di comunicazione non sono certo quelli attuali. Per comunicare con il padre ad Altamura, Oronzio De Nora ha l'abitudine di mandare ogni sera una cartolina postale con il resoconto della giornata di studio o di lavoro. Incuriosito, il padre gli chiede un campione del liquido miracoloso che gli ha descritto nel messaggio. Così, Oronzio De Nora riempie una bottiglietta con il liquido, la chiude in un pacchetto avvolto nella carta di giornale, richiude il tutto con dello spago robusto e si dirige verso la Stazione Centrale. Sale sul Milano-Bari e deposita il pacchetto nella cappelliera dello scompartimento di prima classe. L'indomani, il padre compie le stesse azioni in senso inverso. Sale sul treno che nel frattempo è arrivato a Bari, preleva il pacchetto, lo apre e sperimenta il ritrovato del figlio. Il prodotto si rivela un efficace disinfettante, soprattutto un eccellente antagonista dei processi di putrefazione. Oronzio e Michele De Nora intuiscono che l'ipoclorito di sodio formato durante il processo elettrolitico è in grado di liberare ossigeno attivo che si combina con i composti organici, disinfettando, sterilizzando e cicatrizzando. Variandone le diluizioni, il campo dei possibili impieghi diventa vastissimo: dal trattamento delle ferite al lavaggio di frutta e verdura, fino alla disinfezione dell'acqua stagnante. Bisogna dargli un nome: Michele De Nora inventa un suggestivo nome commerciale, giocato sulla combinazione tra l'alfa privativa che precede il termine greco muche, “ferita”. Era nata l’Amuchina, un prodotto destinato a diffondersi rapidamente in tutto il mondo.
Il 1923 è un anno di grandi svolte nella vita professionale di Oronzio De Nora. Nell'autunno dello stesso anno smette di essere uno studente e diventa un imprenditore elettrochimico. Il conte Piovene, padre di quel Guido Piovene che diventerà poi un celebre scrittore, possiede a Milano uno stabilimento per la produzione di ipoclorito di sodio. L'azienda utilizza un impianto di celle elettrolitiche a gravità, che però non funziona bene. Il nobile industriale si reca al Politecnico per chiedere una consulenza al professor Carraro, il quale lo indirizza proprio a Oronzio De Nora, il più esperto tra i suoi allievi in questioni elettrolitiche. Da un lato, Oronzio De Nora esulta per aver ricevuto un'offerta così lusinghiera, dall'altro si preoccupa perché teme di non essere all'altezza della situazione. Si reca comunque in via Martesana, nello stabilimento del conte Piovene. Appena entrato in fabbrica, s'infila il camice e si concentra sul lavoro, scacciando dalla testa le ansie e le preoccupazioni. Traffica per un paio di giorni senza concedersi un attimo di respiro e alla fine riconsegna al conte un impianto in perfetta efficienza. Terminato il lavoro, il conte Piovene gli propone di raddoppiare l'impianto che ha appena messo a regime, portandolo da 18 a 36 celle, gestendo in proprio tutte le fasi di progettazione, costruzione e montaggio delle nuove celle. Oronzio De Nora accetta e con i proventi ricevuti deve mettere in piedi una vera officina meccanica. Trova un vecchio negozio che sul retro dispone di una grande baracca di legno, recupera un banco da fabbro e una buona parte dell'attrezzatura, acquista il materiale e assume un operaio che l'aiuterà a costruire le prime celle e che rimarrà al suo fianco per tutta la vita. Disegna la cella prototipo, s'infila la tuta da lavoro e si mette all'opera. Inizia a costruire personalmente le celle di quella prima commessa, una dopo l'altra, giorno dopo giorno.
Le due anime di Oronzio De Nora, quella di scienziato e quella di artigiano, si sono finalmente fuse in quella di industriale. Il futuro di Oronzio De Nora è cominciato.